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Crisi calcio italiano

Crisi calcio italiano

Chiunque se ne ricorda, anche se malinconicamente. Il tempo del Grande Torino, l’Inter di Helenio Herrera, il terribile Milan degli olandesi, la Juve di Sivori, Platinì e Zidane, la Samp delle meraviglie: la storia ci racconta come l’universo calcistico abbia avuto come fulcro il nostro “Stivale” per tutto il secolo scorso, con la sola Inghilterra a reclamare il primato storico che la vede  patria indiscussa del “football”, anche se ormai, passato qualche anno dalle ultime cavalcate trionfanti, di sorrisi ce ne sono stati ben pochi, con i dorati rubinetti degli imprenditori nostrani che si sono man mano chiusi quasi del tutto.

La parabola, in costante ascesa fin dagli anni ’90, ha iniziato la sua lenta discesa nel 2007, dopo lo splendido trionfo del Milan del mattatore Ricardo Kakà su quel Liverpool che due anni prima aveva ribaltato, sempre in finale, il 3-0 del primo tempo portandosi a casa la coppa. Gli eventi successivi hanno definitivamente spento ogni speranza di mantenere un ruolo di punta nel calcio che conta; in molti si chiederanno – e la vittoria dell’Inter del 2010!? – ebbene, quella magia ebbe luogo a causa del verificarsi di condizioni perfette, indotte e non, per le quali il rampante “Special OneJosè Mourinho guidò una Inter irresistibile costruita su giocatori al loro apice fino al trionfo finale, chiudendo anche quel “Triplete” comprendente le ulteriori vittorie di Tim Cup e scudetto. inter-campione-triplete-FantArdore.fantacalcioNon va comunque dimenticato che proprio la mancanza di un’adeguata gestione di quella squadra dopo la fantastica stagione 2010 è stata la causa del repentino decadimento in campionato e nelle coppe europee dato che la rosa di quell’anno vedeva al suo interno moltissimi giocatori ormai prossimi ai trent’anni o addirittura già oltre tale cifra.

 Dal 2007, dunque, niente più trippa per gatti, seppure fossero gatti molto affamati visto che i tifosi italiani sono sempre stati abituati a grandi risultati e spinti a credere in un palcoscenico sempre dei migliori. I motivi a causa dei quali il nostro calcio sia sceso così in basso sono facilmente individuabili:

 

  1. Lo scandalo “Calciopoli”, ovviamente. Il vero e proprio uragano che si abbatté sulla Juventus nel 2006, anno del terzo scudetto consecutivo poi ritirato successivamente alle ormai celebri e discusse sentenze giudiziarie, minò fin dalle fondamenta la squadra con più vittorie nazionali in Italia oltre a condizionare una credibilità già molto danneggiata dai vari crack degli anni novanta-duemila legati al calcio(Cirio, Parmalat). Una delle squadre che più avevano contribuito a dare lustro al calcio italiano si ritrovava in seconda serie, con relative disastrose conseguenze economiche, ed altre formazioni di grande importanza si ritrovavano molti punti di penalizzazione.
  2. Negativa convergenza economica. Se negli anni precedenti al terzo millennio le aziende italiane, ed i rispettivi titolari, godevano di grandi soddisfazioni dal punto di vista dei fatturati, tutto ciò che ne derivava era un calcio florido, prezioso giocattolo dei ricchi rappresentanti dell’import-export italiano. Molte fortune saranno state anche fittizie (Gaucci, Tanzi, Cragnotti) e magari fraudolenti, ma se parliamo di calcio e non di azionisti furenti, tutto ciò non poteva fare altro che favorire l’ingresso di numerosi trofei nelle bacheche italiane. Adesso è sotto gli occhi di tutti il gravissimo problema economico legato all’Italia, con anche i grandi imprenditori come Berlusconi e Moratti costretti a gestioni molto più oculate tra campagna acquisti e relativi stipendi.
  3. Esponenziale evoluzione del livello degli altri campionati. Se, come detto, negli scorsi anni il calcio italiano era in una posizione di vertice assoluto, adesso non si combatte solo con se stessi, ma anche con la nuove realtà tedesche, portoghesi e francesi che hanno superato di slancio il livello della Serie A grazie ad una migliore organizzazione e ad una accessibilità decisamente migliore. Sebbene le medio-piccole degli altri paesi europei non siano ancora troppo migliori rispetto alle nostro squadre di seconda fascia, le big sono diventate quasi inarrivabili anche grazie a tassazioni più sostenibili per le società e per la conseguente appetibilità in grado di attirare investitori esterni e sponsor (negli ultimi anni sono stati assolutamente vani i piani di Milan prima e Palermo, solo per dirne due, poi volti ad inserire nei rispettivi pacchetti azionari sceicchi o ricchi possidenti provenienti da terre più floride).
  4. Guerre intestine e assoluta mancanza di programmazione. I tumulti registrati negli ultimi avvicendamenti dei vertici della FIGC, oltre alle solite discussioni sui diritti TV, hanno inciso e continueranno ad incidere molto negativamente su un calcio diviso tra “lotte di classe” e diritti negati. Non ci sono responsabili unici, ma solo confusione ed interessi personali a fare da padroni.
  5. Totale disinteresse ed incompetenza nello sviluppo dei settori giovanili e nell’inserimento di giovani nell’universo del calcio professionistico. Dall’eterna questione delle “quote” nelle serie minori, con giovani usati ed abusati per permettere ad una squadra di rientrare nei regolamenti e poi lasciati a se stessi al raggiungimento di una data età, fino all’incapacità di inserire giovani promettenti nei progetti societari. I giovani delle squadre “Primavera” o delle varie “Under” quasi mai riescono ad esordire in prima squadra, spesso bruciati dalla concorrenza di giovani stranieri acquistati solo perché provenienti da nazioni più quotate (da qui la famosa frase del C.T.della Nazionale Antonio Conte relativo all’impiego di Emanuele Giaccherini al tempo della Juventus:<<Se si chiamasse Giaccherinho ne sentiremmo parlare già da molto tempo!>>). Un’altra scelta scellerata risulta essere quella che vede molti di questi giovani venire prestati, “mandati a farsi le ossa” come si suol dire, in serie minori, non considerando gli ingenti danni ai quali vanno incontro, tra cui una preparazione fisica e tecnica di livello inferiore ed una minore possibilità di esprimere il loro potenziale vista la mancanza di visibilità ed il loro impiego in campionati più fisici e molto meno tecnici.

 

Cosa si può trarre, dunque, da questa serie di errori e sfortunate coincidenze? Come si può ridare slancio ad una macchina che ad oggi continua la sua discesa libera con un destino che sembra già scritto? Fortunatamente esistono realtà alternative, differenti per obiettivi e mentalità, ma sempre spendibili come validi esempi.

L’Udinese di Gino Pozzo non ha molto feeling con i giovani italiani, e questo non è un punto a suo favore, però a livello societario si può tranquillamente parlare di un piccolo ma rodato carrarmato: i friulani investono in “talent scouts” riuscendo ogni stagione a creare plusvalenze, comprando a poco e rivendendo a tanto grazie alla mentalità di squadra in grado di “aspettare” l’evoluzione di un calciatore magari ancora acerbo o con la necessità di ambientarsi in una nuova realtà. Possono far fede le geniali operazioni Sanchez, Benatia, Inler, Handanovic, Cuadrado ecc..

Dall’altro lato della barricata si possono trovare squadre come Empoli o Atalanta, sempre per dirne due, che fanno del loro settore giovanile una sempre impeccabile fucina di nuovi talenti. Nel corso degli anni sono sempre riusciti a far fruttare il loro patrimonio umano lavorando molto sul valore della squadra e del giovane da svezzare e lanciare nel calcio professionistico. A molti sorge più di un dubbio al momento di leggere le rose delle squadre sopracitate all’inizio di un campionato, ma con il passare del tempo viene naturale ricredersi visti gli ottimi risultati volti a salvaguardare il portafoglio ed a valutare le piccole gemme grezze che già si hanno in casa. Se si parla spesso, anche se malvolentieri, dei talenti che siamo costretti a veder lasciare il nostro paese, e non solo in campo calcistico, si capisce del grande potenziale mal sfruttato di cui dispone da decenni il calcio italiano.

 

Se di soldi non ce ne sono più, e di soldi dall’esterno non arrivano se non in rari casi, l’unica cosa da fare resta lo sviluppo dei settori giovanili, oltre ad una maggiore fiducia in coloro i quali dovrebbero emergere, anche perché se in giro per l’Europa si possono vedere delle vere e proprie corazzate con età media bassissima (Ajax 22,7 anni, Borussia Dortmund 24,7 anni, Lione 24,9 anni, Porto 25,4 anni), in Italia si superano i 27 anni di media-età, con le altre forti squadre appena fuori dai nostri confini che vedono tale media aumentata solo a causa di qualche uomo-squadra ben oltre i trent’anni che però ha già da tempo lasciato spazio sul campo a ragazzi poco più che 18enni.

 

Per il bene di tutto il nostro sistema-calcio, il quale rappresenta anche una grande fonte di introito per le casse statali pari a quasi un terzo di tutto il montante del mondo calcistico italiano, sarebbe cosa buona e giusta abbandonare le nostre ormai salde radici italiote che ci portano a fare della discussione un’arma unicamente a nostro svantaggio. Serve unità di intenti, programmazione e grande umiltà nel ripartire, nell’archiviare i fasti del passato fatti di ingaggi da record e di acquisti da milioni e milioni, cercando di fare spazio alla crescita di questo mondo sportivo grazie alle proprie forze ed ai propri fiori all’occhiello.

Sarà solo allora che torneremo ad essere una realtà sana, con un futuro tutto da scrivere ed un indotto che ci permetterà inevitabilmente di guardare nuovamente all’Olimpo del calcio, tornando a vedere gli stadi, magari non più in modalità “casermoni”, pieni di tifosi appassionati ed orgogliosi delle proprie realtà ancor prima che dei divi del rettangolo verde.

Lorenzo Cialdani

 

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