News Sport

Ritroviamo il rispetto per salvare il nostro calcio, quello vero

Foto Svsport
Foto Svsport

Domenica mattina, una come tante. Un anonimo campetto di calcio, in un altrettanto comune paesino di provincia. L’erba bagnata dalla rugiada mattutina presto farà i conti con i tacchetti di ragazzini scatenati, pronti a darsi battaglia dietro al pallone nell’ennesima giornata di campionato giovanile: uno scenario comune in qualsiasi parte d’Italia e del mondo, dove nei weekend non ci solo solo i grandi incontri della Serie A, ma anche quelli delle squadre di Giovanissimi e Allievi.

E poi ci sono loro, gli arbitri. Divisa con colori fluo, a volte sobriamente nera, che incominciano il proprio percorso proprio tra i campetti di periferia, nei paesini di provincia, lontani anni luce da quei riflettori che illuminano gli stadi dei massimi campionati internazionali. Ma già l’Eccellenza rappresenta un sogno per questi giovani, che armati di fischietto e nervi saldi scendono in campo a testa alta, il pallone in mano e sono pronti a fare il proprio dovere.

Quando il primo fischio della partita parte nell’aria e il pallone schizza in avanti, nessuno al mondo può immaginare cosa senta dentro di sé il direttore di gara, se non lui stesso. Dal più giovane esordiente fino al numero uno al mondo, ogni volta che il cronometro parte si vive come se fosse la prima volta quella partita, un debutto infinito che porta a mille l’adrenalina, più che mai necessaria quando è necessario avere mille occhi aperti sul rettangolo di gioco. E spesso nemmeno quelli bastano.

Nicola Rizzoli, l’arbitro italiano che ha diretto la finale di Champions League 2013 e quella del Mondiale 2014, ha scritto nell’autobiografia “Che gusto c’è a fare l’arbitro”, pubblicata recentemente dall’omonimo editore, che chiunque parli di calcio ci ha giocato almeno una vota nella vita. Chi parla di arbitri, invece, non ha quasi mai provato quest’esperienza. Nonostante ciò, lo si vede e legge ogni giorno, i media non si risparmiano in critiche verso quello o quell’altro direttore di gara. E il pubblico non fa che seguirne l’esempio, dalle coppe europee fino alle partite di ragazzini.

Le quali, spesso, non tardano a trasformarsi in vere e proprie bolge infernali, con genitori-ultràs pronti a dar voce a insulti verso il giovane arbitro senza alcun problema. Fino ad arrivare alle minacce, aggressioni, violenze che non potranno mai convivere con la parola “sport” nella stessa frase. Il tutto perché non viene fischiato un fallo al proprio “bambino”, perché non è stato visto un rigore o un fuorigioco, “colpe” più gravi del furto in occasioni del genere.

Ormai tanti si sono abituati all’aggressività di mamme e papà sugli spalti della domenica mattina: fa parte del gioco, dicono. A cui, però, forse tanti arbitri non vorrebbero partecipare, poiché se hanno deciso di compiere la scelta di svegliarsi presto anche nel fine settimana è perché amano il calcio veramente, in tutte le sue sfumature e tra queste non rientrano sicuramente né gli insulti né le cattiverie gratuite. E nemmeno gli atleti in campo ne gioiscono, tanto che in più di un’occasione qualcuno si è scusato per il comportamento dei propri genitori.

Parlare però di degenerazione nel pubblico è fuorviante: quello a cui si assiste è l’effetto di quello che accade ai “piani alti”, come le dichiarazioni di dirigenti che puntano il dito contro gli arbitri e l’odio a prescindere verso i fischietti in generale. Tutto ciò non fa che ingigantirsi nelle categorie minori, che fanno da cassa da risonanza a questo orrore. Ma tutti zitti quando Rizzoli arriva a dirigere la finale in Brasile, per poi ripartire da capo con il fatto che “abbiamo gli arbitri peggiori al mondo”.

Forse abbiamo perso invece la cultura. Che significa il rispetto dell’avversario, di chi arbitra, delle regole e, soprattutto, la conoscenza di queste. Altrimenti non si va da nessuna parte, anche con investimenti milionari, perché alla fine quello non sarà più sport, ma soltanto lerciume. Scintillante, ammiccante, esaltante. Ma solo lerciume.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *