Musica, politica, gastronomia, cultura. Nulla in Italia unisce o divide quanto il calcio. Sfido chiunque a trovare un vero tifoso che, dopo un’eliminazione della nazionale italiana da un mondiale, abbia esclamato un semplice: “Fa niente, era solo una partita”.
Troppe gioie, troppi dolori, troppi momenti d’esaltazione e di improvvisa depressione ci causa una partita di 90 minuti (più recupero) per essere una “semplice partita”. Come ben sappiamo il nostro è un paese di 60 milioni di commissari tecnici provetti, e questo ci porta agli eterni dilemmi legati al gioco più bello del mondo: meglio lo zemaniano 4-3-3 o il 4-4-2?
È più sentito il mondiale dell’82 o quello del 2006? Il pallone d’oro post-mondiale è andato a Cannavaro, ok, ma le parate di Gigi? Basta citare queste tre domande per dare il via a dibattiti di ore ed ore e litigate; tutti con lo stesso finale: “Ho ragione io”.
Ma su un punto, uno, siamo tutti d’accordo. Roberto Baggio è il più forte calciatore italiano di sempre. Fantasista, trequartista, mezz’ala e rifinitore, numero dieci puro, magico, e anche visionario.
Sembrava quasi che avesse il potere di prevedere dove andasse il pallone prima che lo toccasse e in che modo i difensori volessero arginarlo così da saltarli come birilli con quella tranquillità che è tipica solo dei fuoriclasse. Quella tranquillità che lo ha messo in condizione di far sognare per 3 mondiali di fila la vittoria di una coppa del mondo purtroppo mai arrivata, guidando la nazionale a suon di goal, spesso decisivi; Italia Nigeria 2-1, vi dice nulla? E fa niente quel rigore “balordo” (per dirla alla Pizzul) nella finalissima americana, o quel golden gol sfiorato ai quarti del mondiale francese.
Baggio è il pallone d’oro italiano e, il fatto che il “Telegraph”, tabloid inglese, lo abbia inserito al dodicesimo posto nella classifica dei “giocatori più sopravvalutati della storia” va vissuta quasi come una barzelletta… ”La sapete quella in cui Baggio viene sopravvalutato?” con risate dei presenti.
Grazie di tutto, Divin codino. E perdonali, perché non sanno quel che dicono.
Vincenzo Fiengo